Trasferta milanese per Ezio Capuano. Il tecnico del Taranto è stato tra gli illustri ospiti del convegno organizzato da Il Foglio Sportivo che ha riunito numerose personalità del mondo dello sport. Presente nei locali dello stadio Meazza anche l'allenatore di Pescopagano accolto dal giornalista Umberto Zapelloni come “uno dei miti del calcio di oggi”. Questa la trascrizione della conversazione moderata dal giornalista Giovanni Battistuzzi
Meglio questo pubblico o quello di Taranto?
“C'è tanta gente qui. A Taranto abbiamo riportato tanta gente allo stadio, anche nell'ultima partita c'erano quasi diecimila spettatori. Siamo abbastanza soddisfatti”
Lei in questo momento è l'anima di Taranto, è un po' troppo o la verità?
“Tornare a Taranto era qualcosa che mi prefiggevo da tanto. A Taranto sono stato allenatore quando ero un “enfant prodige”, ventuno anni fa. Venivo da campionati importanti e pensavo che quella piazza mi avrebbe portato nel grandissimo calcio. Avevo solo 33 anni. Fui esonerato ad un punto dall'Ascoli, fu una grande ferita, ma da quel momento è stato sempre un mio obiettivo tornarci. Mi hanno chiamato l'anno scorso, una squadra che aveva zero punti, in fondo ala classifica e con tante problematiche. C'erano diserzione e contestazione, allo stadio non andava nessuno. Attraverso il lavoro e l'entusiasmo, a prescindere dalle argomentazioni del campo, abbiamo ottenuto la salvezza e ci siamo riusciti. Per un gol, in virtù della classifica avulsa non abbiamo fatto i playoff. Il mio obiettivo era di rivedere uno stadio piano. Nella mia ultima partita casalinga del 2001 contro il Castel di Sangro c'erano ventimila spettatori, il mio sogno era riempire quello stadio. Piano piano il sogno si è avverato e nella prima partita di quest'anno abbiamo fatto diecimila paganti. Il mio obiettivo era di ridare la tarantinità, il senso di appartenenza per quel popolo che aveva smesso di parlare di calcio. Taranto è una città bellissima, ma non la vivo, apro il campo alle 7 e lo chiudo a tarda sera. Ogni tanto vado al bar per fare colazione, la gente mi ferma e mi idolatra, mi fa sentire commozione e vergogna. Tante volte la colazione non la pago. Magari non ho fatto una grande carriera, ma ci ho messo molto del mio. Questo personaggio mediatico da un lato mi ha dato visibilità e dall'altro ha attanagliato la mia carriera. Io da 34 anni non sono mai stato fermo, forse il valore dell'uomo supera quella del tecnico anche se nel mio piccolo ho avuto l'onore di allenare piazze importanti ottenendo buoni risultati. Il calcio è vendita di emozioni, questa palla che rotola che la sposti e va in porta al di là dei sacrifici che ci sono dietro, cerco di inculcare nella mente del mio giocatore un aspetto: durante la partita facciamo felici persone che in base al risultato possono stare bene un'intera settimana e questo porta ad avere delle responsabilità nella preparazione ma anche nella gestione del giocatore che deve convincersi di questo aspetto”.
Molti allenatori fanno filosofia con il calcio, come da illustri conoscitori, lei parla di emozioni...
“Forse volevi parlare di motivazione. Per me la parola motivazione non esiste nel calcio come nella vita. Per me la motivazione consiste nel dare un senso a quello che vuoi trasmettere. Tutti dicono che a livello di motivazione mi ritengono un grosso allenatore, esiste il convincimento di quello che vuoi trasmettere, la responsabilità”
Ha iniziato la carriera a 24 anni...
“Io sognavo di fare il calciatore poi c'è stato l'infortunio al gomito. Sognavo di tornare sul campo e fare quello che non avevo potuto fare da calciatore. Era fare l'allenatore”
Ha fatto un grande giro d'Italia come allenatore, girando per la periferia di Italia, ha qualche preferenza delle città che ha visto o c'è solo Taranto?
“Chi fa questo mestiere cerca di dare sempre il meglio di sé. A determinare il ricordo di un allenatore è il risultato. L'allenatore deve cercare di fare delle scelte, che possono apparire impopolari, nell'interesse del gruppo e della città che rappresenta. In qualche piazza c'è un rammarico per non aver potuto completare un percorso. Ricordo San Benedetto del Tronto, prendo la squadra all'undicesimo posto e la porto al secondo posto con la possibilità di fare gli spareggi per la B. Il presidente decide di non farmeli fare perché ero diventato più popolare di lui e quindi voglio dire che nella vita devi avere una grande forza: di fare del bene e nel contempo di saper ricevere il male, altrimenti impazzisci”.
E di non fare ingelosire i presidenti...
“Uno viene amato nell'inconscio, ti devono trasportare. Si lotta quotidianamente, a Taranto mi è capitato di litigare con il sindaco, quindi io non guardo a nessuno perché l'interesse della mia squadra viene al di sopra di tutto. Lì sei amato, perché sei riconosciuto come un totem. A me è capitato tantissime volte ecco perché spesso, quasi sempre, mi hanno voluto bene”
È dalla stagione 1992-93 che il Taranto manca dalla Serie B, consciamente o inconsciamente, ci spera in questi playoff?
“Noi siamo partiti per mantenere la categoria e di migliorare la posizione dell'anno scorso. Sono stato l'unico allenatore professionista in Italia, nell'immediatezza della prima gara di stagione con il Foggia, perché talmente era la gioia, la commozione di vedere uno stadio stracolmo, di dire una cosa che mentre la diceva mi davo del matto: dissi se non avessi fatto i playoff sarebbe stato un fallimento. Ho convissuto con quella paura che poi non è altro che trovare il coraggio di sconfiggerla. Il coraggioso vive quotidianamente con la paura senza farsi attanagliare dalla stessa. Questo coraggio mi ha portato oggi ad aver creato una squadra che con grande parsimonia, oculatezza e con tutte le vicissitudini di una stagione, è seconda in classifica. Tra le 60 squadre di Lega Pro, il Taranto è sicuramente la più grande sorpresa. Noi andiamo a giocare i playoff con la spensieratezza, di chi non ha nulla da perdere ma ha tutto da guadagnare fermo restando che non molleremo mai e ce la giocheremo con chiunque. Chi smette di sognare ha smesso di vivere. Io vivo queste situazioni come il sabato del villaggio di Giacomo Leopardi dove la gioia non esiste, ma la gioia consiste nell'attesa”.
Autore: Redazione / Twitter: @tuttopotenza
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